The Future's So Bright

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Non è un Paese per Obama

Occorrerebbe essere musoni irriducibili per non essere contenti oggi, semplicemente, a prescindere da chi sia e da cosa farà di qui a due mesi questo Obama: intanto ha vinto, e un anno fa sembrava impossibile. Dico sempre che sarei felice di sbagliarmi: per una volta è davvero così. Sarà un grande presidente? Non è detto. Peraltro, non è nemmeno sicuro che l'America sia ancora la grande nazione di appena otto anni fa. Ma intanto Obama ha vinto. Essere razzisti, oggi, è ancora più cretino di quanto non lo fosse venti ore fa. Non basta questo, per essere contenti?

E questo ci deva bastare. Lasciamo perdere l'Italia, per una volta. Non perché non sia importante – ma oggi non c'entra quasi nulla. Ha ragione Cacciari: è patetico appicicare su Obama il simbolino di questo o quel partito italiano. Per essere più chiari: la vittoria di Obama è una cosa grandissima, ma non avvicina di un giorno solo la fine di Berlusconi e del Berlusconismo. Ha più a che vedere col giorno in cui vedremo Balotelli in nazionale. E col giorno in cui i cinesi di via Paolo Sarpi, se angariati, non chiameranno l'ambasciatore della Repubblica Popolare, ma il loro consigliere comunale eletto da loro – questi sono i regali che ci porta Obama. Per Veltroni, invece, niente. Ma non è neanche colpa sua.

Sì, senza dubbio non è l'Obama italiano. Lo abbiamo già detto: uno è giovane, l'altro no; uno infiamma le folle e l'altro no; uno è l'outsider, l'altro no... ma non è nemmeno questo il punto. Se anche avessimo un Obama italiano, non vincerebbe le elezioni, esattamente come Kobe Bryant trapiantato nell'Udinese non segnerebbe per forza un gol. La politica italiana e quella statunitense sono due sport diversi, con regole diverse. Diverso è persino lo scopo del gioco. Il voto americano è un Atto di Fede. Per quattro anni i cittadini americani crederanno in Obama, poi si vedrà. Il voto italiano è un attestato di appartenenza. Essere di sinistra o di destra, per noi è ormai un destino.

Ora ci racconteranno che Obama ha vinto conquistando il centro. È il solito modo di vedere l'America con lenti italiane. In un certo senso è vero, c'è un centro che Obama ha conquistato, ma non è quello a cui punterà Veltroni o il suo successore. Il centro che Obama ha fatto suo è una moltitudine di persone che non sono di sinistra o di destra perché, semplicemente, non hanno quasi mai votato. Ma queste moltitudini, in Italia, non ci sono. E questo non perché la politica italiana sia peggiore di quella americana, come opineranno gli opinionisti del provincialismo inestirpabile. Anzi: paradossalmente l'exploit di Obama in Italia è impensabile proprio perché noi andiamo a votare quasi tutti. Non c'è nessun ventre molle in cui affondare. Le parti sono fatte più o meno dal 1994: metà centro-sinistra, metà centro-destra. L'alternanza non la fanno i cosiddetti indecisi, ma i transfughi, le leggi elettorali in continua evoluzione, le composizioni e scomposizioni di alleanze e cespugli, e infine gli astensionisti (che spesso praticano un astensionismo consapevole e selettivo: rifondaroli delusi da D'Alema nel 2001, berlusconisti mosci nel 2006).

Il fatto che una democrazia iper-partecipata non sia per forza una buona democrazia è di un'evidenza che personalmente mi schianta. Ma è andata così: il dibattito politico si è sovrapposto alle rivalità tra comuni medievali e dinastie signorili; al punto che a vent'anni dalla fine ufficiale di tutte le ideologie ancora non si riesce a discutere di problemi concreti per più di una settimana tra cittadini, anche giovani, senza che tutto precipiti in un'astratta contesa tra Rossi o Neri. Forse è per questo che nella loro infinita saggezza i Padri Costituenti accollarono alla comunità le spese di gestione degli stadi, affinché la plebe potesse ivi menarsi unicamente per futili motivi, lasciando la politica a quelli che avessero tempo e pazienza per preoccuparsene seriamente; eppure non è bastato, anzi forse è stato controproducente: oggi le indicazioni di voto te le danno in curva. Nel frattempo mi è capitato di sentire degnissime persone mormorare: ma perché non facciamo votare soltanto i laureati? Ipotesi discutibile, ma per ora vorrei solo far notare come l'America di Obama stia percorrendo la strada nella direzione inversa. Forse ci troveremo in mezzo. Nel frattempo al candidato nero è bastato riempire qualche green perché intellettuali conservatori cominciassero a intravedere lo spettro delle adunate naziste.

Metafora per metafora, proviamo con l'economia: è come se Obama avesse lanciato un prodotto (la politica) in un mercato emergente, un Paese in cui il 40% dei potenziali clienti ancora non aveva bene idea di cosa fosse. Ma l'Italia è un mercato saturo, dove dal 1948 in poi il 90% degli italiani ha acquistato un partito, e da allora al massimo lo può cambiare ogni venti, dieci, cinque anni: come l'automobile, sì, più si va avanti e più vien voglia di disfarsene alla svelta. Il berlusconismo finirà soltanto quando non riuscirà più ad azzeccare un modello. Non è detto che ci voglia ancora molto: ma non si capisce perché la vittoria di Obama dovrebbe accorciare i tempi. In ogni caso è meglio farci trovare con un buon modello per quel giorno. Perché lo so, sembra impossibile, ma potrebbe anche essere domani.
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Treccani omofoba?

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Povero Antinoo

È stato più di una settimana fa.
“Buon giorno, esce ancora Repubblica?”
“A volte”.
“Oddio, e questo pacco cos’è, la Bibbia a fumetti?”
“Mi ha chiesto Repubblica, le ho dato Repubblica”.
“Accetta il bancomat?”
“Ma no, l’enciclopedia è in omaggio”.
Ah, gli omaggi... Vabbè, è pur sempre una Treccani. Biografica. Ultimamente vanno le biografiche, avete notato?
Avete anche notato che io sono la vittima designata delle enciclopedie? Ci sono i tipi da romanzo e i tipi da cronaca nera. Io m’incanto più facilmente davanti a un’enciclopedia – ci trovi sempre qualcosa d’interessante. Quando non c’era Internet, l’unico modo di perdersi nello scibile umano era consultare la voce Pragmatismo per attardarsi sulle foto di Praga, le statue di Prassitele e la Prammatica Sanzione. Per cui ci do subito un’occhiata, all’enciclopedia biografica Treccani. In fondo c’è un sacco di gente interessante che comincia con la lettera A.

Dopo neanche due minuti, maturo una convinzione: è una ciofeca, questa Treccani. V’eravate affezionati, volevate finirla? Lasciate perdere, piuttosto le garzatine. L’operazione ha tutta l’aria di una rivendita di fondi di magazzino. Anzitutto è scritta in grosso: diffidare sempre dei libri scritti in grosso, soprattutto se dizionari o enciclopedie. E poi è materiale vecchio. Si vede a occhio.

Prendiamo uno degli uomini più grandi e fortunati della Storia del mondo: l’imperatore Adriano. La sua è una voce scritta negli anni Cinquanta. Al massimo Sessanta (ma potrebbe anche essere Trenta). Certo, non è che nel frattempo abbia fatto molto di nuovo, l’imperatore Adriano. Ma non c’entra. Le enciclopedie si aggiornano sempre, perché anche se gli imperatori restano fermi, noi ci muoviamo. E si vede. La voce Adriano avrà cinquanta, sessant’anni, ma sembra più vecchia dell’imperatore stesso. Adriano, come tanti principi del tempo, era bisessuale. Regolarmente sposato, aveva una relazione con uno schiavo. La relazione la possiamo chiamare tranquillamente pederastia: anche se la parola pare brutta, essa designa per l’appunto i rapporti tra maschi adulti e maschi adolescenti.

Ma la Biografica Universale Treccani non parla di pederastia, né di omo o bisessualità, bensì di “turpi e palesi trasporti”. Proprio così.
Non aveva infatti figliuoli, né aveva saputo conservarsi l’affetto della bella Sabina, che aveva così gravemente offesa con i turpi e palesi trasporti per Antinoo.

Ora, non bisogna essere alfieri del politically correct o delle tematiche LBGT per affermare che qualcosa non va.
E non in Adriano. Lui, quando morì Antinoo, fece innalzare statue e templi in tutto l’impero. Gli dedicò persino una città (Antinoupolis), per cui evidentemente sì, il trasporto era palese. Ma non si può leggere “turpe” in un’enciclopedia comprata nel 2006. È una parola che dice più cose su di noi che sull’imperatore Adriano.

E poi uno dice non fidatevi di wikipedia. Quanto resisterebbe, una frase come quella, in una voce di wikipedia? Una mezza giornata, due ore? Sulla Treccani c’è da mezzo secolo. E potrebbe passarne un altro mezzo. Se la civiltà occidentale si mantiene, naturalmente.
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- lo spettacolo nell'era in cui è da idioti pagarlo

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Bisogna essere scemi

Scusate se continuo a parlarne come se me ne intendessi, ma il calcio è davvero una metafa potente. Come a dire che è tutta una finta, non è di calcio che si sta parlando qui.

Uno dei paradossi del calcio contemporaneo, ad esempio, è la selezione naturale degli utenti più scemi. Intendo dire che come molti altri servizi voluttuari, il calcio, nell'era della riproducibilità digitale e gratuita, è destinato a fare affidamento sugli unici che insistono ancora per pagare, vale a dire quelli che non apprezzano una partita di calcio per quello che è, ma ne fanno un feticcio, deformato da una serie di connotazioni extracalcistiche (attaccamento ai colori, campanilismo, cameratismo, non saper come passare la domenica pomeriggio, ricerca di un senso della vita). Ma i feticisti sono, per definizione, irrazionali e irresponsabili. Spero di non offendere nessuno se li definisco, per amor di brevità, scemi. Ebbene, l'industria del calcio oggi distilla i più scemi tra gli utenti, e ne diventa schiavo.

Cerco di spiegarmi meglio. Il grande problema dell'industria dello spettacolo, oggi, è farsi pagare. Questo, a causa delle tecnologie su cui viaggia lo spettacolo, autostrade dell'informazione, via banda larga o satellitare, che sono meravigliosamente efficienti e indispensabili, ma hanno un grosso difetto: sono insofferenti ai pedaggi. Appena individui un tratto dove mettere un pedaggio, tutt'intorno si mettono a fiorire le scorciatoie. Legali o meno. Di solito meno.

Ora, attenzione: fingiamo per amor di teoria che le persone siano catalogabili unicamente per la loro intelligenza: che non vi siano persone più o meno belle, simpatiche, abbronzate, stronze, furbe, ma solo più o meno intelligenti. Detto questo, chi saranno secondo voi i primi a trovare la scorciatoia per pagare meno un servizio (o non pagarlo affatto)? I più intelligenti e informati. È ovvio.
E chi saranno gli ultimi ad accorgersene e a smettere di pagare? I meno intelligenti.
Può darsi che lo facciano perché sensibili a un concetto di legalità, o per tradizione, per senso di responsabilità, attaccamento alla maglia, eccetera eccetera: ma tutte queste cose nel nostro modello non risultano, il nostro è un modello in bianco e nero in cui appare soltanto questo: chi continua a pagare per vedere una partita di calcio è un deficiente.

Naturalmente non è tutto bianco e nero, ci sono miliardi di sfumature: in alto (bianco puro) abbiamo l'ingegnere trafficone che guarda tutto via adsl sul sito pseudoclandestino – oppure ha clonato SKY – seguono sfumature di neve sempre più sporca (chi va al bar, chi ha approfittato della super-mega-offerta del mese), fino al grigio cupo di chi la partita la paga fino all'ultimo centesimo. E poi le varie sfumature di nero di chi la partita la va ancora a vedere allo stadio: tribuna, gradinate, curva. Nel nostro modello costoro sono i più scemi: pagano relativamente di più per usufruire di meno servizi (niente primi piani, replay, commenti) e per correre più rischi (fila al WC, pioggia, tafferugli, precipita dal terzo anello un ciclomotore). Nella realtà naturalmente non è così: non è idiozia quella che li porta allo stadio alla domenica, ma attaccamento ai colori, sano cameratismo, voglia di dare un senso alla vita… ma tutte queste cose nel nostro modello, purtroppo, non si vedono. Nel nostro modello, ripeto, l'utente che paga di più per usufruire di meno servizi è considerato il deficiente.
Si tratta anche dell'unico tipo di utente che porta soldi alla maggior parte delle squadre – i soldi di Sky e company, com'è noto, se li pigliano le grandi, quindi…

Quindi, diabolicamente, le squadre medie e piccole devono investire sugli utenti scemi: ossia quelli che invece di procurarsi un'adsl, una carta clonata, una carta vera, un amico che ce l'ha, un bar… preferiscono venire allo stadio, per tutti quei famosi motivi: attaccamento ai colori, necessità di passare il pomeriggio della festa scandendo cori a rischio di beccarsi ciclomotori e mazzate. Gli ultras, insomma. Gli unici abbastanza idioti da pagare per quel che vedono: le squadre si sono messe nelle loro mani.

Verso la fine, l'Impero Romano si basava su un tacito accordo tra Imperatore e plebe romana. L'Imperatore manteneva la pace tra i confini e continuava a distribuire razioni di grano gratis da tutte le regioni dell'impero: la plebe mangiava a sbafo e non rovesciava l'imperatore. In sostanza, il bacino del mediterraneo era soggetto all'appetito della plebe romana. Il calcio contemporaneo, che smuove miliardi, è nelle mani delle plebi di una ventina di città, che in virtù della loro idiozia (pagano per vedere ciò che è gratis su tutti gli schermi ad alta definizione del mondo!) possono fare e disfare squadre, cacciare presidenti e allenatori, addirittura creare bolle di illegalità garantita. Se io non posso saldare un debito, dopo alcuni mesi verranno a pignorarmi. Ma se sono il presidente della SS Lazio, posso saldare comodamente in una trentina d'anni. Perché? Perché il presidente ha un po' di plebe dalla sua parte, perché se la sua squadra fallisse quel po' di plebe ruggirebbe forte, e fa paura la plebe quando ruggisce.

Il paradosso, purtroppo, funziona per tutta l'industria dello spettacolo. Prendiamo la musica: perché negli ultimi dieci anni le major sembrano avere investito soltanto su sgallettate improponibili? Perché bisogna essere idioti per pagare una canzone, oggi, e gli idioti non sono sensibili a virtuosismi musicali, non hanno un grande orecchio per la melodia, ma sanno riconoscere un culo se gli balla davanti. Del resto è una corsa disperata: ormai anche un deficiente sa scaricare gratis un mp3 o una suoneria. Il settore musicale è più dinamico – il calcio è più lento. Ci sono un sacco di fattori cosiddetti 'culturali' (le tradizioni, l'attaccamento, il campanilismo) che ancora impediscono una manifestazione di idiozia pura. Ma la strada più o meno è tracciata: pian piano ogni riferimento vagamente culturale verrà via, come la farina dal setaccio, e sulle gradinate vedremo soltanto una congerie di scemi paganti. Giudicate voi quanto siamo vicini o lontani da quel giorno.

Spero di non avere offeso nessuno con questo pezzo, non era mia intenzione, mi state tutti simpatici. Ma mi è ancora più simpatica la realtà.
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- 2025

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Il mondo senza control-zeta - il corollario dei seminaristi

Caro Leonardo,
nulla da segnalare. Come previsto, la fase di smania bellica è finita. Finite le risse al supermercato, finite le ronde, finiti i discorsi alla "niente sarà come prima". Stavolta è durata una settimana: non male, non male.
Per il resto, sembrano anni che siamo in guerra con la Libia: e in effetti sono anni che siamo laggiù in missione di pace. La sostanziale differenza è che ora siamo 'sotto attacco' da parte di fantomatici terroristi, e così, per misura cautelare, siamo passati ai razionamenti. Il razionamento energetico, in particolare, è un colpo di genio: da quando ci staccano la corrente all'una del pomeriggio non abbiamo più avuto blecaut.
Senza corrente, d'altro canto, è molto difficile lavorare. Antonio-Abate ha recuperato non so dove un paio di Olivetti, e pretende di farci scrivere i testi su quella roba. Impossibile. E' come la bicicletta: o impari da bambino, o niente. Soprattutto, è impossibile imparare quando sai già guidare un'auto a motore. Si aggiunga che non si trova più un solo millilitro di bianchetto in tutto il Teopop...

"Ma insomma come cazzo si fa il control-zeta, porcaput…"
"Su queste macchine da scrivere non c'è il control-zeta, Loreto".
"Non ci posso credere. Come si può essere così cretini da progettare una macchina senza uno straccio di…"

Loreto è cresciuto in un mondo in cui il control-zeta non è un semplice comando: è un'istituzione, una metafora della società. Come per me il semaforo rosso, credo. Ogni volta che vedo qualcosa che non devo fare, dentro di me si accende un semaforo rosso. Potenza dei simboli.
Allo stesso modo, ogni volta che fa una cazzata Loreto pensa "control-zeta". Qualche volta gli funziona, altre volte no. Col tempo si accorgerà che funziona sempre meno, ma è inutile farglielo pesare adesso.
"Cos'è che stai battendo, fammi vedere".
"Fatti i cazzi tuoi".
Una risposta così netta, nel Teopop, significa "sto bislavorando", ovvero: Non sto facendo la cosa per cui mi pagano in questo ufficio, bensì una cosa per cui mi pagano in un altro ufficio, così riesco a farmi pagare due volte la stessa unità di tempo; per favore, non immischiarti.
Io adoro bislavorare e immischiarmi nel bislavoro degli altri. "Da' qua, vediamo".

Autore: Lorreto
Oggeto: Testo per strisia tg sul lotto, numeri ritradatari, 31/1/2025


"Un'altra cosa, Loreto. Queste macchine non hanno nemmeno il controllo ortografico".
"Il che?"
"Quel software che ti corregge gli errori mentre scrivi".
"Mai usato".
"Ah no?"
"Tanto io errori ne faccio così pochi".
"Lasciamo perdere. È bislavoro per la redazione del tg, immagino".
"Immagina quel che vuoi".

Da quando la Conferensa Episcoppale a reintrodoto il giuoco del Loto, questo giuoco ha subito ripreso riconcuistato l'entusiasmo la passione l'e mozioni i favori del grande publico, che subito si è meso con grande entusiasmo a giuocare al loto (qui io ci metterei una sciena di due veccqine in una riccevitoria), in questo modo contribbuendo al rifinaniznz finanziamento delle kasse del Teopop, a lode e gloria del Signore Ns ecc.

Sopratuto l'attenzione dei giocatori piu incaliti si e' concentrata sui numeri ritardati ritardatrari, cioe' quei numeri che e' da piu' tempo ke non vengono sortegiati. Nele ultime setimane, in partixcolare, molti anno giuocato il 52 sula ruota di Sanmarco (riprese di schedine del loto con bene in evidenza il 52 IMP0RTANTE SI DEVE VEDERE BENE IL NUMER0!!!).
A diferenza di quelli che giuocano i numeri che si sono sognati, o pagano i maghi, tutte ridicole superstitioni, chi giuoca il 52, e' convinto di applicare a suo favore una legge scientifica, e cioe' la legge dei grandi numeri, secondo la cui il 52 prima o poi deve uscire, anche se potrebero passare in realta molti anni prima, ma questo il 52 non lo sa. Insomma, giocare il 52, sembra essere diventata una mania, ma giocando il 52 molte persone anno perso i loro soldi, per cui chi gioca il 52 lo fa a suo riskio e pericolo: noi consigliamo tutti: non GIOCATE IL 52! Certo, chi giocherebbe il 52, se il 52 davvero esce, guadagnerebbe TANTISSIMI DENARI COL 52!, ma non e' così facile come sembra, VINCERE COL 52. Per quets


"Lasciami indovinare: le frasi sottolineate vanno lette…"
"Con una certa enfasi, sì".
"Ma fammi capire: ti paga il Reparto Cronaca o il progetto Giochi d'Azzardo?"
"Io, veramente…"
"…stai cercando di farti pagare da entrambi. Bravo bravo".
"Mi sono ispirato ai giornali che stiamo leggendo qui, quelli di vent'anni fa. Ho visto che facevano la stessa cosa con un altro numero. Ho solo adattato allo stile giornalistico di oggi, che è, come dire…"
"Più spigliato. Buono, Loreto. A tuo modo, stai applicando il corollario dei Seminaristi".
"Eh?"
"Niente, un corollario della Prima Legge dell'Attenzione che scoprì Arci da giovane, studiando in un collegio di salesiani. A un certo punto si rese conto che ogni qualvolta un sacerdote teneva un'omelia sulle insidie della carne, la probabilità di avere una polluzione notturna aumentava drasticam".
"Ma questo cosa…"
"Per osservare la cosa in modo scientifico, decise di monitorare le polluzioni di tutta la sua camerata, che volentieri si sottopose all'osservazione sperimentale. E così Arci riuscì a dimostrare il principio dell'attenzione selettiva: ognuno di noi trattiene, di un discorso, soltanto alcune cose. I suoi compagni, ad esempio, trattenevano il concetto "carne" ed eliminavano il concetto "insidie". Allo stesso modo, c'è chi trattiene i nomi ed elimina gli avverbi, chi trattiene il significante ed elimina il significato, chi trattiene quel che vuol sentire ed elimina il resto, eccetera. E c'è anche chi trattiene i numeri e non ascolta tutto il resto. Guardacaso, è proprio quel tipo di persone in grado di giocarsi l'affitto al lotto".
"Quindi secondo te può funzionare".
"Sì, sì, funziona sempre. Basta ripetere lo stesso numero ossessivamente, tirare in ballo qualche fumosa teoria scientifica… fossi in te, aggiungerei ancora un paio di giri di parole".
"Ma devo anche montarci delle immagini".
"Cerca di farci entrare più immagini di 52 possibile. Targhe, numeri civici, titoli di giornale, va tutto bene. E qualche spunto dalla smorfia. Cos'è il 52 nella smorfia, hai controllato?"
"Varie cose. La mamma, l'abbaino, la bicicletta…"
"Perfetto, inquadra una mamma… anzi, no, una bicicletta…, aggiungi ancora un paio di "non giocate il 52", e direi che siamo a posto. Però, fossi in te ribatterei tutto quanto".
"No, non ce la posso fare".
"Te la faccio io, da' qua".
"Sul serio?"
"Sul serio. Prendo il settanta per cento".
"Sei scemo ".
"Hai ragione: te la riscrivo e te la batto e ti regalo il trenta per cento. Sono uno scemo davvero".
"Cinquanta. Ma non ti vergogni a speculare sul fatto che non so usare queste macchine del…"
"Vergognati tu, a speculare sull'attenzione selettiva dei poveri cretini. Sessanta".
"Oh, fottiti, d'accordo".
"È un piacere lavorare per te, Loreto".
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4004 TTP Error





Il tuo browser non riesce a caricare automaticamente il protocollo per il viaggi nel tempo (Time Travel Protocol).
Il TTP è supportato solo da browser di ultima generazione. (Microsoft ExpTerminator 2030, Macintosh Corvette, Mozilla 6.6). Se il tuo browser non è altrettanto avanzato, povero pezzente, clicca qui.

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Dialogo dei Massimi Sistemi, ovvero: la blogsfera e la blogpalla


Massì, parliamo di blog, che è da un pezzo.


Un blogologo di un certo spessore, B. George (Falsoidillio), ha pubblicato su Blogcafé un piccolo galateo in 32 punti. È un ritratto, quasi del tutto condivisibile, di una comunità di persone che accrescono un sapere comune per puro spirito di servizio: la Blogosfera, un mondo che non c’è, e che se ci fosse sarebbe molto bello. (Forse troppo bello. Come certi falansteri in cui ci si annoierebbe a morte).

Il mondo che invece c’è, è un po' diverso e io preferisco chiamarlo blogpalla, dove il suffisso –palla assume una pluralità di significati che non vi sto a spiegare: guardate sul dizionario, voi che ne avete uno. In questo mondo ognuno, a seconda dei suoi limiti e dei suoi punti di forza, cerca di tirare acqua al proprio mulino. Così ho pensato di mettere, di fianco al galateo della blogsfera (opera di Georg), il codice della blogpalla (opera mia). Ecco qui:

Come dovrebbe essere la blogosfera

Com’è, invece, la blogpalla

Se tratti di notizie, cita sempre le tue fonti, che siano altri weblog da cui hai appreso un’informazione o fonti esterne, attraverso link. E’ un servizio a chi ti legge, che ti legge anche per questo.

Metti un po’ di link, meglio a pagine straniere: sembrerà che le hai lette e che sei un blog serio. Fidati, non c’è nessuno che vada a controllare, e poi se non sanno distinguere il Sun dal Financial Times è un problema loro, non tuo.

Pubblica solo fatti che ritieni veritieri. Se invece sono tue supposizioni, dillo.

Evita espressioni come “io penso”, “secondo me”, “a mio avviso”: appesantiscono la frase e ti fanno sembrare poco sicuro delle tue verità. Esprimiti soltanto per frasi assolute, es., non “io penso che i palestinesi siano traviati dalle frange terroriste”, ma “orami sappiamo che i palestinesi sono terroristi”. (Mi raccomando la prima persona plurale!)




Rettifica pubblicamente le informazioni errate che hai dato.

Fa finta di niente. Oppure cambia discorso. Mostrati sicuro e penseranno che hai ragione, sono dei pecoroni.




Dichiara i tuoi eventuali conflitti di interesse (ad esempio, non presentare in modo ammirato un nuovo prodotto o evento o qualsiasi cosa solo perché qualcuno scopra che ci hai lavorato tu).

 

Conflitto d’interesse? Berlusconi fa il presidente del Consiglio e un poveraccio che reclamizza un librettino con un blog personale va in conflitto d’interesse? Tienti pure la pagliuzza nell’occhio, e piuttosto sta attento, con le travi che girano.

Segnala se la fonte è di parte, non far passare per oro colato le opinione partigiane.

Fa tutto brodo, non ti preoccupare, pensa che c’è gente che crede che informazionecorretta sia un sito super partes (ah, ma l’ha detto l’Unione Europea…)

Non usare la tua pagina per fare propaganda alle tue idee: perdi credibilità. Riporta anche le opinioni diverse dalle tue. Ti leggono anche per questo. Non sei il papa.

Il motivo per cui hai un sito personale è proprio che credi di aver perso (ingiustamente) le elezioni da Papa. Ma qui ti puoi rifare: puoi creare le tue verità, puoi mostrarti credibile, e più grosse le spari più la gente verrà a trovarti. Anche solo per curiosità. Fidati. E magari al prossimo conclave ci faranno un pensierino.

Non falsificare le posizioni degli altri per vincere una discussione.

Non perder neanche tempo a leggere le loro posizioni. Chiamali subito con nomignoli sgarbati, funziona. Insisti sui dettagli inutili finché non perdono la calma e t’insultano, poi sfoggia gli insulti come medaglie.

Rispondi alle critiche motivate e alle argomentazioni altrui, riportandole o linkandole sulla tua pagina.

La gente deve leggere te, non loro. Se ti lincano è un punto per te, se li linchi è un punto per loro. Gli puoi concedere giusto un link tuo ogni cinque link loro.

Discuti i fatti, o le opinioni, mai le persone.

Se ha un blog e un’opinione è senz’altro è un segaiolo. O un adolescente sfigato e patetico o un vecchio scemo. Le donne di solito sono isteriche, mestruate o pre-, o in menopausa. Dacci dentro, s’incazzano sempre, è più forte di loro. E quando s’incazzano ti lincano. Ed è un altro punto per te.

Comprendi il valore della diversità e dedicati al diritto di ognuno di esprimerla. Quelli che la pensano come te sono come te, il che alla lunga è una noia.

Infatti alla fine tu leggi solo i blog di chi non la pensa come te, per fargli le pulci. Quelli che la pensano come te sono indubbiamente dei pirla, non vale neanche la pena di perder tempo.

Avere un blog arricchisce soprattutto te, in modi di cui spesso non ti rendi conto. Comportati con rispetto verso chi ti arricchisce gratuitamente.

È il tuo piccolo mondo segreto, rutto e scoregge liberi, puoi finalmente insultare degli sconosciuti e nessuno ti verrà a pestare. Dacci dentro! Se non ti sfoghi qui, dove?

Ci sono casi in cui nessuno ha ragione e le opinioni sono irrilevanti.

L’importante è avere un’Opinione, sempre. Il mondo andrà a rotoli e tu potrai dire: “io l’avevo detto”.

Non inviare commenti e non postare quando sei arrabbiato. Punto.


Se la finestrella dei commenti assomiglia a una chat line ci sarà un motivo. Dacci dentro, è il bello del gioco.

Una volta che hai detto la tua, rilassati. Non stare a ribadirla 30 volte, specie in una finestra di commenti.

Alla fine di tutto quello che rimane sono i flame. La gente viene a leggerti perché a furia di trovare il suo nome in un flame si è incuriosita. E più sei fastidioso meglio è.




Non devi sempre dire la tua opinione. Alle volte un bel silenzio aiuta (te, prima di tutto). In particolare, perché parlare se ciò non fa che aumentare inutile animosità? Che utilità ha per un lettore vederti litigare? Se almeno organizzassi delle scommesse…




Vedi sopra: l’Opinione è l’unica vera cosa. Ma anche questa idea delle scommesse, non è male. Per esempio, si potrebbe fare una gara a chi trova più foto di bambini morti in Iraq… o in Afganistan… oppure…

Scrivi sapendo che non devi mai cancellare nulla, né di ciò che hai scritto tu, né di ciò che hanno scritto gli altri. Cancellare la memoria è subdolo. Quindi pensa prima di scrivere, non dopo (ok, correggere gli errori di sintassi è ammesso).



Effettivamente devi stare attento, fuori è pieno di cecchini che sono in grado di attaccarsi a un apostrofo sbagliato per mesi. Ma la regola d’oro è sempre la stessa: non dire una puttanata, dinne una valanga. Una puttanata sola può essere oggetto di discussione , ma nessuno è in grado di opporsi a una valanga. Non resta che scappare di corsa.

Non essere incontinente: in certi casi è meglio contare fino a 100 prima di scrivere, o anche farsi una passeggiata.

Svelto, che arriva uno meno riflessivo di te e ti frega l’argomento. Tanto in fondo si tratta di solo di coniare slogan: il primo che ti viene in mente è sempre il migliore.




Rispondi agli attacchi personali ignorandoli. Non rispondere a tono, anche perché chi ti legge darà immancabilmente ragione a chi ti ha attaccato. Se proprio non riesci a stare zitto, riporta la discussione sui fatti.




Se non fai almeno una polemica personale al mese la gente si annoia, e lo sai. Che tengano per te o per l’altro non ha nessuna importanza: più li infastidisci più verranno a leggerti. Fingi sempre che non sia una questione personale, bensì una grande battaglia per le idee.




Accetta di buon grado che qualcuno ti prenda in giro o ti faccia una parodia. In genere, lo fa per il tuo bene, e hai da imparare. Probabilmente devi tornare coi piedi per terra.

Eh no, Georg, brutto puzzone. Adesso tu t’incazzi con me e mi linchi, altrimenti io non gioco più. Ecco.

Non farti coinvolgere in guerre o in litigi prendendo le parti di questo o quello. A chi legge e non ha un blog queste cose non interessano.

Ma siamo seri, dai. Chi legge va matto per le tue partite a tennis col contropirla di turno. C’è un sacco di gente che non linca i post, linca i personaggi. “Ha assolutamente d’accorto il tale.splinder.it!” “Un altro fenomenale post di sempronio.blogspot”. “caio.clarence mette al tappeto tizio.com”! Questa è la blogpalla, mica sfere.

Non aggredire altri blogger con giudizi insultanti su ciò che scrivono. Se hai da dire solo cose negative o astiose, evita di farlo. Aggredirli non li farà certo migliorare, servirà solo a farti passare per attaccabrighe. Inoltre a volte anche poche parole sbadate possono ferire. Non risulta che siamo qui per ferirci. Infine, può darsi che i tuoi criteri di giudizio siano tutti sbagliati.

Hai scoperto che con due parole sbadate riesci a ferire persino la persona più saggia del mondo. Ora hai un’arma enorme a disposizione. Come puoi resistere a questa tentazione? È dalla seconda media che non riesci più a prendere a sberle nessuno… E mi raccomando, critica l’ultimo sconosciuto come se fosse l’editorialista del Corriere! Apprezzeranno il tuo coraggio, la tua carica eversiva.

Se parli di qualcuno, comunicaglielo (si fa con un link). Non parlare di qualcuno come se fosse assente, perché qui non c'è assenza, tutti sono presenti "in potenza". Oltre che elementare rispetto nei suoi confronti, è un servizio a chi ti legge.

In effetti Internet sembra averti tolto uno dei fondamentali piaceri della vita (parlare alle spalle di qualcuno). Magari provi con i commentini anonimi, ma attento perché Neri ti sgama sempre. Scegli i tuoi obiettivi tra quelli talmente pirla da non saper usare un counter o technorati. Gente così non merita rispetto.

Non chiedere mai link ad altri, non chiedere scambi di link, non farti pubblicità nei commenti altrui. I blog acquistano lettori e credibilità sulla base della propria voce, non c’è commercio che tenga.

Non è mica come una volta, che qualsiasi sconosciuto per il solo fatto di avere un sitarello attirava l’attenzione. Adesso siamo in totmila e qualsiasi strumento è buono per attirare l’attenzione. In fondo hanno ragione gli spammer: se spedisci un milione di inviti al tuo sito, almeno un pirla che ci clicca sopra lo trovi. È statistica.




Se vuoi commentare, fallo attenendoti all’argomento. Se commenti solo perché qualcuno legga la tua url, ma non dici nulla di interessante, ti scavi la fossa da solo.

Vedi sopra. Cerca di sbattere la tua url dovunque. È un lavoro duro, ma qui non ti regala più niente nessuno.

Non dirottare le conversazioni su temi che interessano te: se hai altro da dire scrivi un post.

Ma vuoi mettere l’effetto scioccante di interrompere un flame sulle rughe di Berlusconi con la pubblicità del tuo nuovo e-commerce di spazzettoni da cesso? Se funziona coi film in tv, deve funzionare anche su Internet. Dacci dentro.

Rileggiti e cerca sempre di migliorarti, ma fallo solo se ti diverti. In fondo va bene anche così.

No! Mai rileggersi! Potresti renderti conto di quanto sei st… stupefacente.

Non vivere con l'orologio collegato al computer. Cerca il tuo ritmo di scrittura. Sappi però che può anche cambiare, e nessuno si offenderà se vai più lento o più veloce. Non stanno lì col fucile puntato.

Siamo seri. La maggior parte dei lettori sono impiegati fancazzisti. Come tutti gli impiegati hanno la loro routine, puoi persino cronometrare a che ora arrivano e quanto ci stanno, sul tuo sito come al cesso. Se non scrivi una volta al giorno dopo un po’ ti tolgono dai bucmarc, e ti saluto. Qualsiasi cazzata andrà bene, purché quotidiana.

Scrivi per piacere, e verrai letto perché è la tua voce. E, sempre, solo da coloro a cui piace.

Tieni conto che starai sul cazzo alla maggior parte dei tuoi lettori, che ti leggeranno proprio per quel motivo, e perché sono autolesionisti. Ti sembra strano? Hai presente Sanremo? Il Grande Fratello? Giuliano Ferrara? Non è strano. È la regola.

Non andare in ansia per il numero di lettori. Non scrivi per dei numeri, ma per te e per altre persone.

E questa cosa chi l’ha scritta? Georg? Ma quanti accessi fa per dirlo?

Rispondi alle email.

Beh, sì, con calma però, altrimenti poi loro ti rispondono di nuovo, e poi tu devi rispondere alla risposta, e la cosa va avanti all’infinito. Magari rispondi dopo una settimana: sembrerà che sei sempre molto occupato. Non sai cosa dire? Scusati per il ritardo.

Proteggi sempre la privacy altrui.

Georg, l’hai poi risolto quel problema coi prodotti di penis enlargment? Eh? No, perché ho sentito che anche Brodo ha avuto lo stesso problema… se vuoi ti do il suo indirizzo, così magari vi sentite…

Non c’è niente di male nell’annunciare i propri piani. Se ti assenti è cortesia dire: “Non state a tornare qui, ci sarò solo il mese prossimo”.

…così perdi un mese di accessi! Ma siamo matti? Dà sempre l’impressione di essere sul punto di tornare, come Gesù Cristo. Almeno, con lui ha funzionato.

Liberamente ispirato a (e scopiazzato da):
Rebecca Blood, Weblog, Mondadori 2003

Liberamente ispirato a (e ispirato da):
B. Georg, i 32 punti (in testa), su Blogcafé.

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My daddy was a friendly user
(...down in New Orleans)

Mio papà, che non ne parlo mai.
Mio papà ieri è uscito con in tasca il telecomando e ha cercato di usarlo per chiamare un cliente. Risate.

Ma riflettiamo un attimo: mio padre appartiene a una generazione eroica, per la tecnologia. Nessuna, prima o dopo, ha sperimentato tante interfacce utente diverse.
Mio padre ha dovuto acquisire familiarità con la luce elettrica, il motore a scoppio, il telefono, la mietitrebbia, (strumento per nulla user friendly), e un aggeggio caseario di cui so che ha il patentino. A vent’anni ha messo su un’autofficina, a cinquanta si è convertito in conducente di gru idrauliche; ha imparato a maneggiare svariati elettrodomestici, tutti con un’interfaccia utente diversa: la cucina economica, la lavastoviglie, il tv: in pratica è arrivato fino al micro-onde e al telefono cellulare. Mi sembra decisamente il massimo di flessibilità tecnologica che si può pretendere da un uomo.

Al suo confronto, io, il presunto giovane high-tech, cos’ho scoperto? Non ho fatto che passare da una pulsantiera all’altra, e comunque erano tutte molto simili. Mai letto un manuale d’istruzioni in vita mia, eppure sopravvivo. Tanto so già che se un giorno comprerò un dvd, sui tasti ci saranno gli stessi disegnini del registratore portatile che mi regalarono alla prima Comunione (triangolo = play; cerchio = rec; due trattini paralleli = pause).

Se ora inventeranno il cellulare che legge il pensiero, prepara il caffè, cambia la programmazione tv, io sarò molto stupito. Mio padre no. Lui non può stupirsi per così poco, dopo tutto quello che ha vissuto. Mio padre è già pronto alla prossima evoluzione, il portatile-telecomando.

E potrei seguitare con altre riflessioni molto interessanti, ma vi devo salutare. Mi sta suonando il frontalino dell’autoradio.
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Typewriters of the world unite
(Io non ho difficoltà ad ammetterlo: tengo un blog perché sono un giornalista mancato. Mi sfogo così. Dai, non faccio del male a nessuno).

Due giornalisti che ho sentito, venerdì sera, in tv.
Il primo era Mentana, che a Otto e Mezzo ha detto di non temere la concorrenza di Internet: “Sarebbe come temere la concorrenza di una macchina da scrivere”.
Interpreto: Internet non è che uno strumento, nelle mani del giornalista. È lui, l’Umano, il Professionista, che vaglia le notizie, le verifica, le rende presentabili. Nessuna macchina da scrivere potrebbe mai sostituirlo in questo lavoro …

Tre ore dopo ripasso, su rai1 Mollica festeggia il compleanno di Tv7 intervistando Bernabei, proprio lui!
“Qual è il principale difetto dei giornalisti, al giorno d’oggi [rispetto a quelli della Rai-di-Bernabei?]”
“Vogliono tutti fare il colpo. Non bisogna fare colpo, mai”.

Finito il servizio, rimesso Bernabei in formalina, Tv7 prosegue con un servizio sulle risse di donne pakistane. Proprio così: assisto a tre minuti di tafferuglio in una strada pakistana, tra donne di diverse età che si strappano i capelli e si tirano in testa cartelli elettorali. Sarebbe anche divertente, non fosse per il sangue (e poi le facce sui cartelli sono tutte maschili).
Ma soprattutto: nessuno mi spiega cosa sta succedendo. Nessuna voce fuori campo, nessuna didascalia, niente.
Formulo due teorie.

1. Forse hanno pensato che sono troppo stupido per capire la complessità della campagna elettorale pakistana, e hanno tagliato il testo del servizio.
2. Forse hanno pensato che, a quell’ora della notte, non ho voglia di informarmi sulla complessità della campagna elettorale pakistana, ma soltanto di eccitarmi con donne orientali che urlano scazzottandosi a sangue. Così acquistano reportage di scarto dai corrispondenti per fare concorrenza agli spot dei telefoni e r o t i ci.

Insomma, se a quell’ora della notte sto seguendo T7 (che è il più prestigioso settimanale d’informazione della rai), o sono un deficiente o sono un a r r a p a t o, o più probabilmente un misto di entrambi.
E se invece fossi onestamente curioso del perché donne di tutte le età se la davano di santa ragione in mezzo a una strada di Karachi?

Beh, l’unica cosa che potrei fare è spegnere la tv, tornare in camera e connettermi a internet.

Mmm. Se io fossi Mentana comincerei a guardarmi le spalle.
Di certe macchine da scrivere non c’è da fidarsi.
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You don't have to put on the red light

Non tutta la telefonia mobile viene per nuocere, comunque.
Prendi l'auricolare. Io non ce l'ho, e non lo desidero, ma sono contento che ci sia gente che lo usi, nelle strade e negli abitacoli. Non solo perché ha meno scuse per metterti sotto agli incroci, ma per tutta una serie di ricadute positive sui nostri codici di comportamento.

Infatti, io ricordo molto bene come fino a pochi anni fa la gente che camminava parlando da sola non fosse vista di buon occhio. Parlare senza un interlocutore è tuttora considerata una cosa molto sconveniente, ai limiti dell'insania mentale, e dire che pochi vizi sono così innocui e poco dannosi per il prossimo. (Non è già più fastidioso il voler trovare a tutti i costi ascoltatori per le cose che diciamo?)
Oggi, però, se calcando un marciapiede t'imbatti in un signore in giacca e cravatta che chiacchiera nervoso con sé stesso, non pensi più a chiamare l'ambulanza, perché dai per scontato che stia discutendo di cose molto importanti via satellite.
Ed è solo l'inizio. Pensatori ad alta voce, ancora un po' di pazienza, ma se l'economia si rimette a girare in primavera potrete uscire allo scoperto e raccontare le vostre cose agli alberi in fiore, senza che nessuno ci faccia più caso.

Quanto a me, non posso che essere grato agli auricolari, per la gioia che mi dà cantare in macchina a ogni ora del giorno, con la pioggia e col bel tempo, e soprattutto in coda ai semafori. E ci do dentro, sapete, piango, rido, tiro tutti i muscoli della faccia, e se per radio ci sono i Police, io non mi tiro indietro.

Roooooox-èn,
non dovevi aspettare la red light
se ti sbrigavi era yellow
non dovevi aspettare la red light


Sicuramente fino a qualche tempo fa gli automobilisti intorno a me ci facevano caso, ma ormai quei tempi tristi sono finiti. Oggi se qualcuno mi nota pensa senz'altro che è tutto ok, sto solo litigando con qualcuno, qualcuno che si fa mettere sotto al telefono, e quindi non sono un matto, bensì uno che nella vita si fa rispettare.
E questo è un gran regalo che mi ha fatto la telefonia mobile. Gratis. Grazie.
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non può esistere nulla di simile...Utopia, dice Fazio

Non si può applicare, e lo stesso Tobin l'ha rifiutata: ciò perché i flussi internazionali di capitali sono immateriali, avvengono grazie a sistemi computerizzati per cui noi conosciamo solo i saldi finali. La Tobin Tax non è realizzabile perché colpirebbe le transazioni, non i saldi finali, non si possono controllare 1-2 miliardi di computer.
Antonio Fazio

Chiaro, no?
Avete capito, ragazzi? Fate su i moduli e le penne, si torna a casa. La Tobin Tax non è materialmente realizzabile: se lo ha detto Fazio, che è un tecnico, sarà vero. Andiamo, su, che fa anche freddo. Stasera che si fa? Mah, si potrebbe guardare Roma-Juventus, il match seguito in diretta da un miliardo di telespettatori, come hanno detto su Rai1.

Ehi, no, aspetta un attimo.
Davvero han detto: “un miliardo di telespettatori?”
No, perché mi sembran tanti. Dopotutto al mondo siamo appena sei miliardi. E una buona metà denutriti, non tutti forse hanno i mezzi o la voglia di guardarsi Davids che morde le caviglie di Totti. Ma Rai1 dice che un terrestre su sei guarderà Roma-Juventus. In diretta. Compresi i cinesi, che immagino tifino la Roma: ha gli stessi colori della bandiera! E per la bandiera val bene la pena di svegliarsi alle cinque del mattino! Uno su sei, certo, che ci vuole?
O forse la stima di Rai1 è un tantino esagerata. È discutibile persino che ci sia un miliardo di televisori funzionanti al mondo. Anche ammesso che ogni televisore sia guardato in media da due spettatori, fa cinquecento milioni di teleschermi sintonizzati sull’Olimpico. Non lo so, io non sono un tecnico, però ripeto, mi sembran tanti.

E adesso che ci penso, anche i computer del prof. Fazio mi sembrano un po’ troppi. Un miliardo o due di computer connessi e funzionanti. Vediamo.
Ammetterete che la stima è un po’ approssimata: fa una bella differenza dire “un miliardo” o “due”. Da un tecnico ci si aspetterebbe un po’ più precisione. È vero che in economia un miliardo più o meno non cambia quasi nulla: ma qui si parla di persone, non di dollari. E ripeto, al mondo di miliardi persone ce n’è appena sei. Dire “due miliardi di computer” significa assegnare un computer connesso e funzionante a un terrestre su tre. Alla faccia del digital devide! Se si pensa che metà di questi terrestri non hanno mai fatto una telefonata in vita loro, bisogna che qualcuno, per la legge della statistica, faccia trading on line contemporaneamente da qualche centinaio di terminali. Non si capisce perché dovrebbe, ma la statistica è così: se Gino mangia due polli e Pino no, mangiano un pollo ciascuno. Su questo tutti i tecnici sono d’accordo.

Poi di colpo Fazio dice “un miliardo”, e trac! Di colpo la media scende da uno a tre a uno e sei. E il cambiavalute della Mongolia esterna a cui per la legge della statistica avevano appena lanciato un Pentium II se lo vede distruggere seduta stante da un paracadutista dell’ufficio stampa della Banca d’Italia. “Ci dispiace, è stato un errore. Il Governatore Fazio aveva sbagliato la stima per eccesso”.

E' geniale. Dovreste provarla.Restano comunque un bel po’ di computer. E non stiamo parlando di Vic20 o Olivetti ministeriali a carbonella, e neanche di 486: siamo seri, neanche un cambiavalute mongolo si metterebbe a trafficar valuta su un 486. No, bisogna che siano almeno dei Pentium. E ben connessi. D’accordo, ammettiamo pure che al mondo ci siano un miliardo di buoni computer connessi e abilitati al trading on line. Se le cose stanno così. Fazio ci ha appena detto che Echelon è una stronzata. Io a dire il vero lo sospettavo già, ma un parere tecnico fa sempre piacere.
Avete capito, CIA, FBI, M15, che da mesi cercate affannosamente notizie su Bin Laden in rete? Anche voi, fate pure su tutto e andate a guardarvi la partita. Non si può monitorare un miliardo di computer, l’ha detto Fazio, il governatore della Banca d’Italia.

E a questo punto, possiamo aggiungere, non c’è più nulla da fare. I computer ormai sono troppi, e si moltiplicano a vista d’occhio. Hanno già conquistato il mondo. Impossibile controllarli. Tanto vale abbandonarsi. È l’apocalisse? No, è il parere tecnico della Banca d’Italia. Chi dice il contrario è un utopista.
Anche chi fa notare che i computer abilitati al trading on line nell’Unione Europea devono essere meno, molti meno di un miliardo. E che monitorarli non dev’essere poi così difficile. In fondo un computer non è un pozzo nero, anzi, il problema dei computer è proprio che non cancellano niente. Altrimenti come farebbe la Consob a finanziarsi? , la Consob italiana si finanzia proprio grazie a una bassissima aliquota sulle transazioni valutarie. Quindi, tecnicamente, in Italia la Tobin Tax è possibile. Basterebbe alzare l’aliquota…
E se tecnicamente la cosa è possibile in Italia (la terra degli Olivetti ministeriali a carbonella), non si vede perché non dovrebbe esserlo in Francia (dove è una proposta è già stata approvata), in Germania, in tutta l’Unione Europea. Insomma, proviamo. Non è ancora detta l’ultima parola. In fondo basterebbe assegnare un cookie a ogni transazione valutaria fatta da un terminale. Io non saprei come fare, son mica un tecnico, io. Ma scommetto di conoscere almeno due o tre smanettoni capaci di farlo. E altri due capaci di trovare un bug e perfezionare il sistema. Prof. Fazio, ci ascolti, non sventoli la bandiera bianca. I Robot non hanno ancora vinto. Un altro mondo è ancora possibile. Magari è un po’ difficile da spiegare, però è possibile. E non è utopia, no. È solo una questione tecnica.

È molto semplice applicare la Tobin Tax!
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Il futuro è fattorino
Di questi tempi, quando ho il frigo vuoto, difficilmente trovo il tempo per andarlo a riempire. Non credo che in futuro le cose andranno meglio, per quanto riguarda il tempo; in compenso credo che sarà la tecnologia ad aiutarmi.
Infatti tra un paio d’anni, recessione permettendo, stimo di poter iniziare a fare la spesa on line. Andrò sul sito della coop (o della conad, a seconda dei prezzi, della grafica, delle politiche ambientali) e selezionerò i prodotti, invierò una mail, e un fattorino verrà a recapitarmi le sporte a casa (non sarà più umiliante abitare al terzo piano senza ascensore). Avrò così più tempo da dedicare al mio lavoro.
Rimarrà la fatica di controllare cosa manca nel frigo.
Ma tra cinque-sei anni, penso che anche questa fatica mi sarà evitata da un frigorifero intelligente che mi avverta da solo sulle scadenze delle merci, sulle carenze (se manca il latte), sulle eccedenze (troppi pomodori, poi vanno a male), sui gusti dei famigliari (le sottilette non vanno mai via), ecc.. Il frigorifero mi manderà una mail e io farò l’ordine ai fattorini. Avrò così più tempo da dedicare al mio lavoro.
Infine, tra meno di dieci anni, se non si sovrappongono crisi, calamità, pestilenze, se insomma la civiltà occidentale resiste, la tecnologia mi doterà di un frigorifero non solo intelligente, ma anche affidabile, il quale manderà direttamente le mail ai fattorini, senza chiedermi il permesso. Al massimo sarò io a chiedergli di tanto in tanto più o meno gelati, a seconda di come me la passo. Ma col tempo il frigorifero imparerà a conoscere i miei cicli e stati d’animo, non dovrò più dirgli nulla, arriverò a casa la sera con la cena già bella e recapitata dai fattorini, e avrò più tempo da dedicare al mio lavoro.
Il quale lavoro consisterà, se le mie previsioni non sono errate, nel fare il fattorino, sgobbando dodici ore al giorno per strada e su per le scale, a portare la spesa a un sacco di persone come me che non hanno il tempo di farla, perché anche loro fanno i fattorini.

(Questa forse è una metafora della nostra società postmoderna).
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Piccola proprietà intellettuale (inc.)
Oggi è passato Andrea e volevo passargli questa proposta per un business, era lui che me ne chiedeva sempre. Anche se ha l’aria di essere l’idea giusta nel momento sbagliato…
Sappiamo che nei prossimi mesi il gratuito su internet andrà ridimensionandosi: da luglio napster inizierà a chiedere soldi agli utenti – intanto stanno studiando il modo di inibire il comando “copy” sui siti, ecc.. Chissà, forse qualcuno comincia a pensare che l’utente medio sia pronto al grande passo: diventare un acquirente di file. Sarà vero?
Su wordtheque la maggior parte degli acquirenti erano gli stessi autori. Siccome gli spettavano il cento per cento dei diritti, si creavano situazioni paradossali (gente che telefona protestando: “mi hanno addebitato l’acquisto ma non mi hanno ancora accreditato la vendita”, ecc.). Il servizio è sospeso (non serve a niente e costa burocrazia), ma almeno ha dimostrato che persone anche a digiuno di computer, pur non avendo alcuna intenzione di acquistare on line, possono essere interessati a vendere. Dopotutto, perché no? Oggi il medio utente può mettere qualsiasi cosa on line, ma gratis. Perché non offrirgli una vetrina?
Attenzione: non si tratta di diventare ‘editori’. Non bisognerebbe prendere nessuna percentuale sulle vendite: non è bello, e, soprattutto, non conviene. Invece ci si fa pagare il servizio. Che cosa significa? Che si guadagna qualcosa anche coi file che nessuno venderà mai (e forse sono la maggioranza).
Può sembrare una semplice riedizione delle case editrici-bidone, quelle che da sempre stampano ‘on demand’, o per meglio dire, a spese dell’autore. Ma, oltre che la spesa sarebbe molto inferiore, oltre che sarebbe comunque opportuno mantenere una soglia (bassina) di qualità, potrebbe trattarsi del luogo ideale per l’utente medio che non è necessariamente uno scrittore, artista o programmatore maledetto, ma che ha del materiale a disposizione e vuole non tanto farci soldi, quanto vedere riconosciuta la propria proprietà intellettuale. Dandogli il 100% dei diritti noi gliela riconosciamo: nulla gli vieta di cedere a un editore vero, se ne incontra uno interessato, grazie al nostro sito-vetrina.
Alla fine quel che conta veramente non è ‘vendere’. Quel che conta è mettere le proprie cose in vetrina, proteggendosi però dal copia-incolla selvaggio.
A vedere bene si tratta di un nuovo modo per vedere internet. Non più la zona franca del tutto è gratis (ma non lo è mai stato), ma nemmeno l’ennesimo centro commerciale in mano alla grande distribuzione. Un più umano bazar dove chiunque esibisce la propria mercanzia. Chiunque di noi potrebbe almeno sperare di mettere da parte qualche soldo extra con qualcosa realizzato nel proprio tempo libero: un libro, una canzone in mp3, un programmino per dare da mangiare ai pesci rossi sullo screen-saver, ecc..
L’obiezione è sempre: “Ma chi comprerà questa roba?”
La risposta è: “Chi se ne frega, noi non ci facciamo pagare per i file che vendiamo, noi ci facciamo pagare la vetrina”.
Comunque per i primi due anni almeno bisognerebbe fare tutto gratis, per lanciare la cosa come si deve.
Il maggior pregio del progetto, mi pare, è l’esiguità delle spese: occorre soltanto attivare un contratto con una banca per l’e-commerce, e mantenere un portale efficiente. Nessun magazzino: si venderebbero soltanto file.
La cosa che principalmente mi sfugge è il ruolo della SIAE in tutto questo. Soprattutto per quanto riguarda gli mp3, che sarebbero il mercato più promettente (gli esordienti interessati a commerciare il proprio demo), ecc..
Beh, che ne dite?
Forse non ci si farebbero i miliardi, ma secondo me è un buon inizio. C’è l’aspetto proditorio che deve avere ogni buona iniziativa imprenditoriale (fare soldi sulle velleità creative della gente); e allo stesso tempo c’è anche un’idea globale, politica, contro la distribuzione massificata, per la piccola proprietà intellettuale, geee…
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